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di Luigi Vaccari

ALBERTO SUGHI VITTORIO SGARBI: FACCIA A FACCIA


Vittorio Sgarbi: Ho sempre cercato, fino all'ultimo, di conoscere, individuare, salvare l'ultimo gesto del pittore sulla tela. Non mi pare che si possa dire esaurito il rapporto di necessità che muove l'artista a usare il pennello per una rappresentazione del mondo che può diventare estenuata, entrare in competizione con quanto è stato dipinto prima e avere una crisi di continuità: come se fosse inopportuno ripetere un gesto già fatto, pensando che non si potrà fare meglio di Velàzquez e di Rubens, quattro secoli dopo di loro. Questa difficoltà fu sentita dai manieristi, rispetto a Michelangelo e Raffaello, i due grandi maestri classici, a Caravaggio, che sembrava insormontabile, a Goya. Esiste un limite insuperabile: è come se la pittura avesse detto tutto. E questo è un primo motivo alla base della sensazione che ci sia stata, o ci sia, una interruzione nella possibilità di andare avanti per i pittori.
VACCARI: Ne esistono altri?
SGARBI: C'è ancora il cavallo: e si può tranquillamente cavalcare. Naturalmente nessuno di noi usa il cavallo per viaggiare: se devo andare a New York, ci vado in aereo; a Siena, ci vado in automobile. Per cui: vado a cavallo e tanti altri ci vanno. Ma non è più un mezzo di locomozione per l'universalità delle persone. Ecco allora la fotografia. Per rappresentare quel paesaggio che ha rappresentato Corot ho la macchina fotografica, e la uso: come amatore, come dilettante, ma anche come artista, perché mi fa ottenere lo stesso risultato, anche se non mi permette di trasferirvi la mia sensibilità come con la pittura. Alcuni fotografi talentosi hanno ottenuto dei risultati artistici molto importanti in quanto fotografi. Alcuni pittori hanno fatto una fotografia per produrre un'opera d'Arte. In realtà sono più artisti i fotografi che hanno voluto essere soltanto fotografi di quelli che hanno pensato di usare la macchina fotografica per effetti pittorici. Pittori molto frigidi hanno sostituito la pittura con la macchina fotografica, esponendo alle Biennali, alle manifestazioni d'Avanguardia, come dipinti, come opere d'Arte, delle fotografie. Visto che esistono quelli che continuano a dipingere, sia pure in una dimensione marginale, dalla Biennale ci aspettiamo una rappresentazione di ciò che la pittura può ancora esprimere.


Alberto Sughi: Mi piace la metafora del cavallo ; Le difficoltà della pittura cominciano tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento quando entra in crisi la funzione pubblica che aveva tradizionalmente svolto. Da allora la pittura non è stata più l'unico mezzo per raccontare, o meglio rappresentare la storia civile o religiosa; La fotografia prima, poi il cinema e infine la televisione ,data la velocità con cui sono in grado di fare circolare le immagini in ogni parte del mondo , hanno sostituito la funzione che era stato assegnata alla pittura nel campo della comunicazione.
Questo ruolo la pittura l'ha perduto; ma le ragioni profonde,il carattere specifico della pittura non si identificano , per fortuna, con nessuno ruolo.
Possiamo ammirare un'opera d'arte senza dovere fare necessariamente riferimento alle ragioni sociali per cui é stata dipinta.
Forse va ricordato che fin dai primi anni del Novecento molti artisti avevano già chiari i termini del problema tanto da ipotizzare che, affrancata da ogni ipoteca morale, illustrativa o didattica, la pittura si sarebbe compiutamente svelata nella sua essenza; senza più l'obbligo di rappresentare il mondo attraverso lenti ideologiche o di potere avrebbe potuto finalmente alzare la bandiera dell'arte per l'arte.

Per tutto questo, d'accordo con Sgarbi, ritengo deboli e non pertinenti gli argomenti
di coloro che fanno coincidere la rivoluzione nel settore della comunicazione con la fine della pittura dipinta.
Purtroppo gli argomenti che dico di ritenere deboli e non pertinenti sono diventati così invadenti e assordanti che ormai diventa difficile parlare seriamente.
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SGARBI: sono arrivato, con gli anni, a una specie di pazienza del saggio. La posizione: più giusta è quella espressa, meglio sul piano terorico che sul piano pittorico, dal tardo De Chirico, il quale vedeva nelle Avanguardie l'inganno. Questa presa in giro è stata rappresentata in modo perfetto nel film di Alberto Sordi Vacanze intelligenti, dove c'è una visita alla Biennale che non è assolutamente caricaturale, ma testimonia esattamente quello che uno vede alla Biennale: con la finta reazione ammirata di chi deve per forza bere la pozione e farsela piacere. Per molto tempo sono stato il più intransigente di tutti pensando, come De Chirico, che era tutta una impostura. Di fronte all'opera di un consacratissimo artista d'avanguardia dell'arte concettuale o povera, più concettuale che povera, che si chiama Giulio Paolini, soltanto una buona educazione ti può far dialogare con quelli che riconoscono in lui una grande raffinatezza, una grande sottigliezza…i


SUGHI: Ma come ha potuto l'inganno,come lo chiama De Chirico, mettere radici cosi profonde? Come può accadere che queste opere, che se non godono di complicità di complicità, appaiono prive di senso, finiscano per essere oggetto di tanta attenzione? E' ormai così radicata l'idea che l'arte sia un fatto misterioso, che non ci sia niente da capire oltre le parole spesso incomprensibili di certi sacerdoti della critica ?
Eppure oggi c'è un numero di visitatori nei musei come non é mai accaduto in passato; fanno la fila per vedere la mostra di Velazquez e il giorno dopo , mettiamo, per vedere le opere di Merz o Paolini . Sembrano soddisfatti di saper apprezzare una cosa e il suo contrario; ma può darsi anche il caso che alle differenze non siano molto interessati. Sarà per via delle cosiddette visite guidate condotte da persone che hanno in mano dei depliants e parlano ad alta voce: i visitatori ascoltano con compunzione contenti di prendere parte all'evento senza l'obbligo di riflettere senza nemmeno la fatica di doversi fare una propria opinione.
Questa non é la crisi della pittura; ma del rapporto che si é voluto istituire con la pittura: un rapporto manipolato, rotto. Bisognerà vedere quali sono le ragioni per cui si è deciso di romperlo, che sono ragioni anche furbe.

Sughi, romagnolo di Cesena, 73 anni, pittore del realismo esistenziale,
nel 1994 e' stato presidente della Quadriennale di Roma, alla
quale aveva partecipato nel 1959 con una parete sul tema della malinconia.
Il suo lavoro è andato avanti, in modo quasi sistematico,
per cicli tematici: Pitture verdi (dedicato al rapporto fra uomo
e natura), La cena, Immaginazione e memoria della famiglia, La sera
del pittore (riflessione intorno al ruolo dell'artista e al valore
dell'esistenza nel mondo contemporaneo), Notturno. Ha allestito
mostre in diverse città e Musei italiani. E' stato al Museo
delle Belle Arti di Budapest e alla Galleria Nazionale di Praga
con una Antologica che nel 1986 era stata allestita dal Museo Nazionale
di Castel Sant'Angelo. Un'Antologica è stata presentata all'inizio
degli Anni Novanta alla XII Quadriennale. Nel 1994 una sua mostra
itinerante è stato ospitata dal Museu de Arte di San Paolo
del Brasile, dal Museu Historico Nacional di Rio de Janeiro e presso
la sala espositiva del Teatro Nacional di Brasilia.
Sgarbi, emiliano di Ferrara, 50 anni a maggio, laureato in filosofia,
storico dell'arte, erudito e saggista (ha pubblicato oltre 20 volumi
sull'arte e sulla critica d'arte). E' deputato di Forza Italia e
Sottosegretario per i beni e le attività culturali. E' stato
direttore alla Soprintendenza ai beni artistici e storici di Venezia,
sindaco del comune di San Severino Marche, deputato del Parlamento
europeo. Ha curato importanti mostre d'arte (e relativi cataloghi),
in Italia e all'estero. Collabora con quotidiani, settimanali e
mensili. Fa parte di numerosi comitati scientifici e culturali.
Ha condotto per sette anni la rubrica Sgarbi quotidiani (Canale
5). E' titolare della rubrica La casa dell'anima e della trasmissione
Sgarbi clandestini (Telemarket). Ha vinto il Premio internazionale
Flaiano per la Televisione, 2000.
L'incontro, sullo stato di salute della pittura all'inizio del Terzo
Millennio, si svolge al Ministero dei beni culturali, in via del
Collegio Romano, nella grandissima stanza di Sgarbi. E' un faccia
a faccia movimentato, in due tempi (che vuol dire due sere, una
molto inoltrata), gente che entra e gente che esce, altri che assistono,
cellulari che squillano, il sottosegretario che improvvisamente
scompare, riappare, scompare di nuovo, riappare...


VACCARI: Quali figure, muove o meno nuove, autorizzano una speranza? Quali movimenti? E dove si nutrono? Che cosa testimoniano?
SGARBI: Partiamo dallo schema di Fedor Dostoevskij: "Se Dio è morto, tutto è consentito". Quindi: se l'Arte è morta, tutto è permesso. Mai come in questo momento l'Arte è stata libera: da anni non è necessario rappresentare la realtà attraverso la pittura perché il documentario, la fotografia, la televisione, si incaricano di farlo in modo più preciso. Il romanzo ha perso gran parte della sua capacità evocativa perché in un film vedi immediatamente quello che Tolstoj ha descritto in 20 pagine. La fotografia assolve largamente a compiti descrittivi, per cui la dimensione della pittura è prevalentemente volta all'essenza. Da qui la fortuna di autori come Bacon, come Giacometti, che, invece di riprodurre l'esistenza, riproducono l'essenza,------------ in perfetto contrasto con l'esistenzialismo, la filosofia dominante nel Secolo scorso, nella quale, nell'indicazione di Sartre, l'esistenza precede l'essenza, come dire: non c'è Dio o una ragione ideale a cui gli uomini debbano essere adattati, ma l'esistenza di ognuno che prevale su tutto. -------------Dal momento in cui l'Arte è finita come necessità di rappresentare gli eventi, hai per la pittura un campo aperto formidabile, in cui si sono distinti, ho già ricordato due straordinari artisti, ma per esempio in America se ne possono citare altri: Hopper o Gran Tud ( Grant Duncan?), oggi Vaise o Colvil, uno più bravo dell'altro. Non trascuriamo poi il grande portato del Comunismo al realismo rappresentativo, per cui abbiamo da Guttuso a Tuche, Tuche (Tucker) meglio di Guttuso, dei pittori che non hanno in nessun modo sentito la necessità di sostituire la pittura con la fotografia. La grande forza è quella dei lirici, e fra i lirici ci sono artisti come Bacon, Balthus, Velly, per i quali la pittura deve soprattutto trovare la possibilità di rappresentare la nevrosi, la condizione… (rivolto al cronista) la tua stessa faccia, perché tu sei un classico esempio di quello che andrebbe bene per un artista contemporaneo, per esempio per Freud. Tra l'altro gran parte dell'impresa di Freud è stata anticipata, senza che nessuno se ne sia accorto, da un grande artista italiano degli Anni Trenta, Quaranta, Cinquanta, che si chiama Pirandello. Pirandello ha dato delle prove formidabili di pittura scollegata dalla necessità rappresentativa che ha abbandonato Guttuso, che è un pittore retrogado perché cerca di competere con la fotografia, rappresentando il funerale di Togliatti, e sicuramente il suo quadro non può neppure competere con una fotografia del funerale di Togliatti. Pirandello non ha paura di affrontare la figura umana, che è invece il dramma di autori come Morandi e altri che la eludono per evitare il conflitto con la retorica fascista. E un pittore tranquillo, ma intimamente tormentato, come Pirandello può fare dei capolavori che rappresentano la condizione nevrotica di un individuo, e quindi una condizione che non è dissimile da quella del padre. Tutto questo fino alla Seconda Guerra Mondiale. Dal dopoguerra in avanti, la Pittura rappresentativa perde ogni legittimità e il caso più emblematico di omicidio di un artista è quello toccato ad Annigoni, il quale è stato cancellato scientificamente dalla Storia dell'Arte nonostante avesse fatto, fino agli Anni Cinquanta, alcune opere importanti. Il gruppo che fonda insieme a Scìltian, a Guarienti, a Acci, ai due Bueno, è l'ultimo che tenta di tenere in piedi un'immagine della realtà dentro la pittura. Ma si scontra e muore nel momento in cui prendono il campo le ricerche di Burri, di Fontana, le quali vanno benissimo, ma sono strade che la pittura sceglie, o l'Arte sceglie, quando non ha più l'obbligo di rappresentare la realtà. Negli ultimi 20 anni del Novecento personaggi dell'Avanguardia come Buren, come Kounellis, hanno a tal punto radicalizzato lo scontro con la cultura da lasciare tutto lo spazio possibile a chi volesse assumere la pittura esattamente come chi decide di andare a cavallo in un momento in cui i cavalli non sono più necessari per i trasporti pubblici.
SUGHI: Col tuo ragionamento si potrebbe arrivare a dire che, esaurita la necessità di rappresentare il mondo, tutta la pittura sia possibile, e anche il figurativo, in fondo, può condurre alla stessa esperienza a cui conduce l'astrattismo.
SGARBI: Ah, certamente.
SUGHI:.. Quando tu racconti questo percorso mi convinco ancora di più che le molte polemiche di oggi sull'arte contemporanea sono solo destabilizzanti: finiscono per togliere all'esperienza artistica della pittura la specificità che la caratterizza.
MA forse é venuto il momento che io dica qualcosa qualcosa del mio lavoro.
Il pittore non é solo l'autore dei suoi quadri, é anche quello che per primo li guarda spesso con indulgenza, alle volte con severità. Quando decide che il quadro é terminato , decisione sempre difficile da prendere, il suo giudizio attiene in genere alla struttura della composizione; all'energia del disegno, alla intensità del colore e cosi via . Il discorso sui significati dell'opera é un argomento invece che stranamente, egli sfiora appena . La poetica attinge a una riflessione che si é formata nel tempo, che dà un particolare carattere all'opera di una artista e che poi diventa un tutt'uno con le struttura formale della sua opera.
A me interessa misurare la mia pittura con certi personaggi, ambienti, atmosfere. Io cerco di fare bene il mio lavoro di pittore .Quando dipingo non mando messaggi e non do giudizi.. La pittura mostra, non argomenta. Roberto Longhi diceva che l'opera d'arte non dà spiegazioni, può solo esigere risposte parlate
VACCARI: A quali polemiche ti riferisci? E tra chi? I pittori non sono silenziosi? Nel dibattito culturale non parlano soltanto i direttori delle Mostre, gli organizzatori, gli storici dell'Arte?
SGARBI: Appunto. L'Arte è morta, quindi…
SUGHI:. Quando, accompagnando una sua allieva che preparava una tesi di laurea su di me , venne a trovarmi nel mio studio, la Prof.ssa Simonetta Lux titolare della cattedra della "Sapienza" mi fece una domanda del tutto inaspettata mentre sfogliava le pagine di una mia vecchia monografia . Indicò la riproduzione di un dipinto del del 1957 , mi pare fosse " Il sottopassaggio " o " I miti sul muro" e mi chiese chi era il critico che mi aveva suggerito di usare le grandi scritte come parte integrante della struttura pittorica. Le doveva sembrare impossibile che un pittore percorresse delle strade di sperimentazione formale che non fossero dettate dal pensiero del critico..
E' un ragionamento fazioso e culturalmente perverso. Contro questo andazzo una volta i pittori parlavano e polemizzavano. Oggi troppo spesso stanno zitti.
SGARBI: Ho delle idee molto precise sul silenzio dei pittori. Ci sono stati fenomeni di minimalismo, uno dei quali è rappresentato da Karol Andres, che, dichiarandosi scultore, ha ridotto l'impatto della sua opera fino a farne delle piastrelle di pavimento realizzate in metallo. A una mostra di Panza di Biumo, vedi una stanza dove per terra ci sono riquadri di acciaio che sono come una pavimentazione, sulla quale cammini o le giri intorno, e questa scultura nasce da chi è convinto di essere uno scultore, ma ha ridotto tutto a un impatto che non disturbi lo spazio. Una dimensione immateriale di alcune sperimentazioni. In altre, concettuali, non conta ciò che è realizzato, ma ciò che è pensato; e parte con i ready-mades di Duchamp. Gli artisti non vogliono disturbare; lo spazio che si sono scelti è più della filosofia che della realtà fisica; e questo è dimostrato dall'opera di un protoverde ambientalista come Bois. Non è detto che queste espressioni debbano assolvere a tutto lo spazio che l'Arte riserva a se stessa. Vero è che dalla fine degli Anni Settanta, cioè dalla morte di Picasso, non puoi fare a nessuno, neppure per la Narrativa, la domanda: "Chi è il più grande artista del Novecento?" E' stato, per 50 anni, Picasso. Da quel momento in avanti, puoi dire: Freud, David Hockney, Kounellis… Hai uno spettro di almeno 30 nomi, segmenti diversi, e ognuno pretende una totalità impossibile, perché l'espressione artistica, sia la pittura in senso stretto sia ogni espressione dell'Arte figurativa o non figurativa, non ha più alcuna centralità. Essa è stata assunta dal Cinema o dalla Moda. Un tempo l'artista era Leonardo, era Raffaello; oggi l'artista italiano è Armani, è Valentino, è Versace. Il matrimonio fra produzione creativa e ascolto della massa è fatto dal Cinema e dalla Moda. La pittura ha una nicchia talmente ristretta, è questione talmente di pochi, che sembra diventata ininfluente. Perché non ci sia stato più qualcuno che abbia assunto un ruolo, artistico e politico, come quello di Picasso è una questione su cui interrogarci e che mi fa dire che siamo in un "dopo Storia" in cui la pittura, l'Arte, è morta. Ma questo non impedisce a nessuno di ricominciare a disegnare e a dipingere: ci sono addirittura alcuni che hanno fatto ricerche sperimentali, come Gino Marotta, abbandonando completamente il disegno, e, 15 o 20 anni fa, hanno ripreso in mano la matita per rieducarla. Un altro caso è quello di un pittore che si chiama Salvo. Generalmente questi artisti escono da esperienze d'Avanguardia che sembrano averli legittimati in una mafia dell'Arte dove la non pittura era stata accettata come unica espressione possibile. Quando tornano alla pittura sembra quasi che non dipingano. E' un meccanismo bizzarro: quelli che dipingono peggio vengono guardati con una qualche ammirazione, come se la Pittura fosse una strada mistica…
SUGHI: Una redenzione.
SGARBI: Una redenzione.
SUGHI: Avendo la pittura ridotto al minimo la sua centralità, come hai detto giustamente, non sarà questa l'occasione per approfondire la ragione della sua essenza? Messa apparentemente da parte, relegata in un luogo marginale, costringe l'uomo a riflettere più profondamente. Parlo da pittore e non posso che parlare in questi termini. Quando sto nello studio, dipingo, penso, mi tormento, non immagino di creare un capolavoro: faccio un quadro, lo riprendo, lo sposto, cancello, e mi riferisco a qualche cosa che non sembra avere una ragione pratica. E' proprio la mancanza assoluta di una ragione pratica che mi fa realizzare un dipinto importante, che può servire e far riflettere anche chi lo guarda. Io sono convinto che il lavoro del pittore non finisce col suo quadro: finisce negli occhi di chi lo guarda. Se non c'è la possibilità di riinventarlo; di adoperare per noi stessi l'esperienza che il pittore fa nel suo studio, la pittura muore.
SGARBI: Non è rilevante… C'è stato un momento, forse col nuovo Millennio è superato, in cui tutte le forme della conoscenza si sono ridotte: la filosofia a pensiero debole; il romanzo a nuveau roman minimalista; la Pittura a… Fra gli Anni Sessanta e Ottanta abbiamo assistito a un processo di riduzione della possibilità comprensiva del mondo attraverso l'Arte. Da un certo momento in avanti si è ricominciato, nel romanzo per esempio, a raccontare storie; Balthus ha dimostrato che si poteva continuare a dipingere, per cui si è dato fiato alla possibilità di espressioni totalizzanti. Allo stesso modo dobbiamo riconoscere che la Scultura greca è finita. Ci sono dei greci che fanno gli scultori, ma… Così possiamo ammettere che l'Opera lirica è finita. Abbiamo Menotti, oggi, che tenta di far sopravvivere quello che si è trasmutato nel Jazz. La continuazione di Mahaler o di Strauss non è Menotti. Quindi dobbiamo immaginare che alcune esperienze si consumano. La tragedia non c'è più: chi è che scrive una tragedia, oggi? Il teatro annaspa. Alcuni generi sembrano completamente scomparsi. Potremmo anche accettare, serenamente, che la pittura sia finita, se non ci fossero questi stronzi di pittori che continuano a dipingere. Mentre i drammaturghi, dopo Beckett, scrivono poco; i filosofi non fanno più grandi sistemi kantiani o hegeliani; i musicisti non compongono più l'opera lirica, non ci sono più sinfonie; i pittori continuano a dipingere. Vorrà dire che di fronte alla dura prova della morte, sono riusciti a sopravvivere. Prendiamo atto che ci sono. E anche che, sia pure in spazi sempre più residui, esprimono delle visioni straordinarie. La fine del Novecento ha espresso artisti, lo abbiamo ricordato, come Lopez Garzia, che è assolutamente straordinario: è quasi impotente tanto sente la difficoltà di adeguare al suo pensiero l'espressione materiale dell'esecuzione dell'opera. Gian Franco Ferroni, che è appena morto, ha ridotto sempre di più lo spazio… Quanto più l'impresa si è fatta difficile, tanto più questi duri hanno inteso continuare. Non possiamo con un atto notarile dichiarare morta la Pittura, se in ogni parte continua ad affacciarsi. Se uno guarda l'opera di Norman Rockwell, di Tullio Pericoli, di Roberto Innocenti, che è uno straordinario illustratore, di Botero… Che qualcuno voglia negarli o dichiararli scomparsi con un atto di un tribunale del popolo è impossibile. Per cui, realisticamente, cercando di adattarsi ai tempi difficili, i pittori continuano a esistere. Proprio in questo momento, in cui tutte le forme di linguaggio hanno rappresentato la loro crisi, e anche le sperimentazioni sono diventate obsolete, ripetitive, a questo piunto la pittura si riaffaccia, prende spazio ed è perfettamente legittima.
VACCARI: Il numero dei visitatori, nei Musei soprattutto, cresce perché bisogna andare dove altri vanno?
SGARBI: Non si rassegnano neanche loro (ride).
SUGHI: E' un fenomeno molto curioso. Si fa la fila davanti ai Musei. Una Mostra è visitata da 30.000 persone, un'altra da 100.000, un'altr ancora da 20.000. Funziona una specie di auditel. Ma nessuno si preoccupa di capire perché la gente accorra. E' difficile immaginare come ho già detto, che si possa andare a vedere una Mostra e immediatamente un'altra che propone un contenuto del tutto contrario. Ma poi,il più delle volte; non si riescono nemmeno a vedere i quadri esposti, perché ci sono di continuo persone che ti passano davanti: è come andare a sentire un concerto dove la gente fa tanto chiasso da non potere sentire la musica. Nessuno se ne preoccupa; si preoccupano soltanto dei biglietti che sono stati venduti al botteghino. Su questo specie di auditel fanno grandi affari gli assessori, i mercanti, i politici.. Una volta quando si andava a vedere una Mostra, si sostava come in raccoglimento davanti a un quadro, si pensava, si rifletteva. Mi ricordo di quando ero ragazzo, andavo ad Urbino ad ammirare la "Flagellazione" di Mantegna e nel silenzio più assoluto , cercavo dir capire e carpire il significato e il valore segreto di quel capolavoro.
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SGARBI: Intanto esiste da una trentina d'anni il processo della cultura di massa. Ai tempi di Bianchi Bandinelli, di Croce, di Vasile, la cultura era un fatto che riguardava comunque un'élite. Dalla fine degli Anni Sessanta in avanti si è creato un fenomeno che è pieno di aspetti positivi e anche di conseguenze impreviste come una indifferenza sostanziale legata alla mitografia: una cosa è interessante perché hai sentito che deve esserlo, accade anche per i best-seller. Se si volesse capire meglio la questione si potrebbe spostare il discorso al campo, molto più spinoso, della musica. La musica non è insegnata nelle scuole; i grandi musicisti sono finiti: non ci sono più Beethoven, Mozart, Strauss… Ci sono in compenso degli interpreti, i direttori d'orchestra, che assumono un ruolo, di dive o di star, in sostituzione dei compositori che sono scomparsi, per cui si dice: La Nona di Karajan , la Nona di Muti, il Don Giovanni di Soltzi…
SUGHI: Questo vale anche per le mostre: la mostra di Bonito Oliva, la mostra di Calvesi…
SGARBI: Volendo. Ma soprattutto si pone in evidenza che l'interprete, nel caso della musica, ha preso il posto dell'autore. Questo, stabilendo dei falsi miti, o dei miti alternativi, non esclude che per la musica esista un interesse come non c'era neanche ai tempi di Beethoven. Nel caso dei Musei sono state individuate delle star, come fossero attori cinematografici o grandi registi, in alcuni autori, da Leonardo a Raffaello a Michelangelo a Tiziano, che la gente sa che deve andare a vedere, quindi ci va, secondo un processo che è analogo a quello per cui si va ai grandi concerti. Ma tutto questo non cambia la sostanza del problema, perché riguarda la mercificazione dell'Arte nella società dei consumi rispetto a quello che l'Arte ha già prodotto. Noi stiamo parlando non del pubblico dell'Arte, ma della produzione dell'Arte. Il pubblico dell'Arte consuma l'Arte già prodotta; non consuma l'Arte prodotta nei tempi recenti, se non attraverso dei miti, come Chitering o Anser Chiffer, che vengono creati attraverso un processo che riguarda la comunicazione di massa. Quindi non è detto che l'autore di cui tutti parlano sia quello giusto: vuol dire che è riuscito, secondo il dettame di Andy Warhol, a porsi in un punto di congiunzione fra la produzione artistica e la comunicazione, perciò è diventato un fenomeno mediatico, come, altro esempio, David Hockney. Quelli che si sottraggono a questa condizione, che vivono in modo più riparato, diventano dei miti snob come Balthus, che poi alla fine è un mito di massa anche lui, dopo essere stato il più snob di tutti, oppure diventano dei personaggi straordinari che stanno in un segmento come Lopez Garzia, a cui ha accesso soltanto un gruppo di happy few che hanno identificato in quel modo di esprimersi una qualità perduta, che naturalmente col tempo diventerà anch'essa di massa. Fra una ventina d'anni anche Lopez Garzia sarà un autore di massa. Quelli di massa degli ultimi tempi sono stati autori come Warhol che hanno usato in modo abilissimo la contaminazione dei linguaggi, sono riusciti a interferire sul cinema, sulla fotografia, e si sono piazzati in una condizione di visibilità che era favorita dal tipo stessa di espressione scelta. Oppure autori come Marx, come Kounellis, con operazioni radicali che sono state assorbite in una ideologia ambientalista anti-global, per cui hanno rappresentato un'Avanguardia politica più che pittorica… Il tema è molto complesso: in certi casi, espressioni artistiche sono diventate politica e hanno rappresentato le Avanguardie del Novecento, Bois in particolare; nel caso di Guttuso hanno rappresentato la retroguardia della politica e hanno perso un appuntamento storico. Per questo dobbiamo occuparci soprattutto dei fenomeni extrapolitici, perché riguardano la pittura come ricerca individuale nella quale qualunque cosa l'artista faccia la fa per la necessità di esprimere un'essenza.
SUGHI: Io direi un'altra cosa. Si possono avere delle idee politiche, e anche condividere un'ideologia. Ma la pittura, come esercizio di conoscenza attraverso la forma, può portarti lontano dai progetti che la militanza politica voleva suggerirti. Sono sempre stato un uomo di sinistra; ma se guardo il lavoro che ho fatto in quasi cinquantanni del mio impegno politico non trovo quasi niente; quasi che la pittura mi abbia costretto a guardare il mondo in modo più disarmato.
VACCARI: Chi continuerà a decidere dove va il mercato: l'America?
SGARBI: Non necessariamente.
Ed è possibile armonizzare cultura e mercato?
SGARBI: E' inevitabile. E' il problema del cinema, che oscilla nelle categorie astratte proto hegeliane di opera d'arte e prodotto.
SUGHI: Non devono venire meno le possibilità di un confronto forte. Non occorre imporre delle regole.
SGARBI: Gli americani hanno operato alcuni interventi formidabili di sintesi fra opera d'Arte e prodotto. La produzione cinematografica in aree marginali, e fuori di ogni mercato, come l'Iran e l'Iraq, consente la nascita di opere la cui finalità non è di obbedire al mercato. Se il cinema obbedisce al mercato, rischia di riunciare alla sua capacità di interpretazione della realtà: entra nell'ideologia del capitalismo, della produzione; quindi ha la necessità di fare film che facciano cassetta. Nel caso della produzione artistica questo rischio non si corre, perché viene chiamata commerciale l'arte dei pittori figurativi, dei Sughi, i quali sembrano obbedire a ciò che compiace una piccola borghesia ancora adusa al quadro da cavalletto. E non viene chiamata commerciale, invece, l'arte d'Avanguardia che occupa i Musei: come se noi decidessimo che, siccome dobbiamo morire, tanto vale che andiamo ad abitare subito al cimitero. Gli artisti dell'Avanguardia hanno costruito le loro opere, saltando il passaggio del mercato per arrivare immediatamente, attraverso una mafia stabilita, al Museo, dove i vari Bois, i Kounellis, i Merx, eccetera, predisponevano le loro installazioni che venivano pagate miliardi, ma non erano ritenute commerciali perché finivano in quel cimitero che è il Museo che le disinfettava dalla commercialità. Allora: l'essere commerciale è una stigmate negativa. Abbiamo una tale perversione del sistema per cui ciò che è pagato miliardi viene chiamato arte povera perché è realizzato non per un mercato reale, ma per un mercato stabilito in laboratorio da una coalizione di artisti coi galleristi e i direttori di Musei, i quali hanno occupato militarmente il loro spazio. Chi invece sta ancora sul mercato vero, c'è un mercato vero di Clerici, Cremonini, Tommaso Ferroni, Sughi, si trova a essere ritenuto commerciale perché i suoi quadri vengono acquistati. Questo era ritenuto un crimine. Allora: siccome le regole del mercato dell'Arte sono così stravolte, è difficile prevedere chi le possa stabilire. Le stabilirà probabilmente, a un certo punto, una reazione di disgusto da parte del pubblico che capirà quanto sia stato preso in giro in questi anni. Anche se l'estasi che si prova davanti a certi prodotti che sono degli escrementi dell'Arte è talmente diffusa che uno rimane estrerrefatto all'idea che vengano accettati come se fossero un'opera d'Arte assoluta.
VACCARI: Per riassumere?
SUGHI: Secondo me la pittura non è morta. E' morto il modo di farla circolare e forse di capirne il suo significato. La sua storia non si gioca negli ultimi 30 anni. Credere che, al punto in cui siamo arrivati, abbiamo un metro per misurare tutto, in ogni campo, mi sembra una grande presunzione. Il grano, per maturare fresco in primavera, marcisce sotto la neve d'inverno. Sono convinto che tornerà a germogliare anche la pittura, dopo una notte fredda lunga e buia.
SGARBI: La pittura è morta da un pezzo. La sua fortuna è che ci sono dei pazzi i quali sono convinti che sia viva e fanno delle opere bellissime. Artisti fuori dal circuito: questo Lopez Garzia che ho ricordato sta facendo da 30 anni due sculture: le ha già fatte, le ha consegnate nel 1970 a una collezionista, poi le ha ritirate dicendo: "Devo metterle a posto", e le ha ancora nel suo studio. Sono come dei Bronzi di Riace fatti nella dimensione nevrotica di uno che, come Alessandro Manzoni con I promessi sposi, è l'autore di un'opera sola. Nei disattatati, nei disperati, nei solitari, nei pazzi c'è la speranza che rimanga accesa una produzione pittorica. Nel mondo ci sono 50 milioni di artisti: otto milioni in America, quattro in Italia, due in Inghilterra. Fra questi, ce ne saranno 3.000 bravi: 1.500 dipingono. Fra questi 1.500 che dipingono, ce ne saranno 600 forti. Anche se la pittura è morta, 600 coglioni che dipingono esistono; e dipingono bene. Non riesci a ucciderli tutti; non ci riuscirebbe neanche Osama ben Laden. Bisognerebbe andare a spegnerli uno per uno. Ma ne nascerebbero altri. I pittori nascono dalla volontà di resistere all'idiozia di quelli che, contro la pittura, hanno fatto delle scelte che sembrerebbero particolarmente intelligenti. E' la reazione alla disperazione. La produzione della merda generalizzata dell'Arte contemporanea induce a un sussulto di dignità nella mano che tiene la matita, impedendole di essere inerte, per cui produce disegni vivi e così vengono improvvisamente fuori Giacometti, Varlene... Più si produce arte scrementizia, più come residuo, da questa montagna di merda, escono dei disegni meravigliosi: come quelli di giovane che si chiama Martinelli, bravissimo, che sta a Prato. Se vogliamo che la pittura sia morta, possiamo dire che di fatto è morta perché tanto nessuno se ne accorge, non comunica niente, è morta nell'impossibilità che ha di intervenire sul mondo. Se vogliamo che la pittura sia viva, indifferenti al fatto che essa possa comunicare col mondo, questa c'è perché sopravvive: esiste un meraviglioso disegnatore illustratore, si chiama Roberto Innocenti, che ha fatto un bellissimo Pinocchio, ed è un genio assoluto. E' morto completamente il pubblico dell'Arte. La pittura non è mai stata viva come in questi anni in cui è morta. Ed è morta rispetto alla sua funzione sociale, non alla sua consolazione individuale. Abbiamo cercato di ucciderla, non ci siamo riusciti. In compenso si sono uccisi i suoi spettatori. La situazione è drammatica. Noi lavoriamo per il contrario. L'unico modo per far rinascere l'Arte sarebbe chiudere i Musei e proibirla: in maniera tale che sembrasse un'appetibilissima droga. Case chiuse. All'interno delle meravigliose troie che non puoi vedere. Invece te le buttano in faccia. Insomma: io devo cercare di fare la politica dell'apertura dei Musei, essendo favorevole alla loro chiusura (ride).



La versione originale ed integrale in:

L.Vaccari, Faccia a faccia Trenta personaggi famosi raccontano il nostro tempo (Rizzoli editore, 2002).

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